Chi vuol essere…agente immobiliare

Chi vuol essere…agente immobiliare


Domanda del giorno: in base a cosa si valuta la bontà del lavoro di un agente immobiliare?

Del suo team, dell’agenzia immobiliare di appartenenza?

Hai il tempo di un buon caffè, o di una sigaretta se fumi, per darmi la tua risposta.

Nel frattempo, ti racconto come la vedo io: agente immobiliare, indipendente, anomalo, contromano, anche eretico, dal 2002, a Bologna.

Nell’ultimo articolo del blog (che, se vuoi, puoi leggere qui) e anche in passato, ho spesso affrontato criticamente il modo in cui la categoria degli agenti immobiliari, della quale orgogliosamente faccio parte, viene percepita dalle persone.

Spero sia chiaro, ma ho l’obbligo di ribadirlo.

La mia non è, e non vuole essere, polemica contro il mondo della mediazione immobiliare.

Ho semplicemente il bisogno, quotidiano, di capire cosa posso e devo fare per migliorarmi. E per fare questo devo, per forza, analizzare obiettivamente tutto quello che faccio io, i miei colleghi e tutto il cucuzzaro.

Sono sicuro che, la stessa domanda, ogni giorno, te la fai anche tu.

Che tu sia un operaio, un imprenditore, un professionista, un dirigente, un professore, un chirurgo, un artigiano, un manager, o “più semplicemente”, un papà o una mamma, questa domanda te la sei fatta e continui a fartela. Sbaglio?

Ecco, io questa domanda, me la faccio sempre.

Perché ho semplicemente il desiderio, l’obiettivo e anche l’ambizione di crescere. In tutti i sensi, anche di guadagnare di più: sarei ipocrita e bugiardo a non ammetterlo e tu, giustamente, non mi crederesti.

Da quello che percepisco, trovandomi tutti i giorni, per almeno 12-14 ore, a contatto con colleghi o con clienti che hanno avuto a che fare con miei colleghi, le agenzie immobiliari, si danno la pagella, si auto-valutano per:

  • la velocità con cui vendono gli immobili,
  • la quantità, il volume di transazioni che concludono in un anno,
  • il numero di filiali che detengono,
  • e il numero di addetti per ciascun ufficio.

Oppure si pavoneggiano del livello di fatturato raggiunto, del numero di immobili che gestiscono o delle dimensioni degli uffici in cui lavorano.

E giusto?

Oppure no?

E se non lo è, perché?

Qual è l’unità di misura?

E se invece la gara fosse al contrario?

Per esempio non su chi ha più immobili, ma su chi ne gestisce di meno certificando in tal modo il livello di attenzione e di qualità del servizio?

E se invece del fatturato fosse più importante quanto l’agenzia si distacca dal ruolo commerciale e quanto più si distingue nella consulenza?

O se ancora, al posto del numero di vendite in un anno, valesse la capacità di fidelizzare i clienti?

Se altrettanto, al posto del numero di addetti, valesse la pena invece vantarsi dell’assenza del turnover, dei collaboratori, della capacità di fargli acquisire cultura e competenze?

E se addirittura la velocità con cui si vendono gli immobili fosse un baco, un virus, insomma un difetto?

Se al posto del numero di agenzie, i franchising si valutassero sulla capacità di guidare il mercato, di diventare un modello da seguire, un vero e proprio punto di riferimento?

Se invece di puntare alla quantità si puntasse ad elevare gli standard di qualità?

E cosa è la qualità? Bella domanda eh?

Troppi se, se, se, se…

Non ci lamentiamo.

Sì, non lamentiamoci se poi, come categoria, non veniamo considerati benissimo. Almeno nel mondo della ristorazione e dell’ospitalità, nel bene e nel male, esiste TripAdvisor. Un minimo di graduatoria esiste.

Nel frattempo, noi agenti immobiliari siamo mediamente percepiti giusto un gradino sopra i lavavetri al semaforo: lo so, la battuta l’ho già fatta.

Se non siamo credibili, se il 50% delle vendite avvengono direttamente tra privati, un motivo certamente esiste, anche se ci sfugge o se addirittura cerchiamo di sminuirlo.

Rimbocchiamoci le maniche, c’è parecchio da fare.

Per inciso, anche io ho la mia unità di misura per capire il gradimento del mio lavoro.

Se il mio cliente, alla fine del rapporto di consulenza, è felice, vuol dire che ho fatto un buon lavoro. Quando lui o lei, generalmente loro, hanno vissuto una bella esperienza, senza traumi, intensa ma piacevole.

E questo avviene quando il cliente mi fa percepire, spesso lo dichiara apertamente, di aver ottenuto complessivamente più di quanto ha speso. Ecco, quando avviene, vuol dire che ho fatto bene il mio lavoro.

Bada bene, questo vale anche, con la stessa importanza per me, per quelli che non diventano miei clienti e quindi non mi portano neanche guadagno.

E’ fondamentale, almeno per me, farli rimanere contenti e soddisfatti anche solo di un’ora di colloquio conclusa con un nulla di fatto.

Ogni mestiere, ogni lavoro, ogni professione è difficile, anche quella di agente immobiliare.

Lo diventa ancora di più, agli occhi delle persone, dei nostri clienti, quando si propaga la sensazione che, troppo spesso, non c’è la voglia di crescere, di migliorarsi.

Ci provo ma non posso, non voglio e non devo giudicarmi da solo e, ci tengo a dirti che anche io sbaglio, sono tutt’altro che infallibile. Quando succede ho bisogno di capire cosa è andato storto, perché è successo e cosa posso fare perché non capiti di nuovo.


Dimenticavo, siamo partiti da una mia domanda e manca la tua risposta.

Tu in base a cosa valuti il lavoro di un agente immobiliare?